Successivamente alla pubblicazione ed al relativo commento della sentenza 4943 del 2019 della Corte di Cassazione (vedi news del 27/2/2019), anche il Tribunale di Vasto si pone sulla stessa linea ritenendo legittimi sia i controlli affidati dal datore di lavoro ad una agenzia di investigazione per controllare l’attività del lavoratore svolta durante i permessi ex articolo 30 legge 300/1970 e sia il licenziamento.

 Il caso:

Un dipendente di una società del settore gomma e plastica, dirigente sindacale di una organizzazione sindacale sottoscrittrice del CCNL applicato, otteneva un permesso sindacale per la partecipazione ad una riunione del direttivo provinciale di tale sindacato.

Il datore di lavoro sospettando che il lavoratore facesse uso anomalo del permesso, nel senso che lo utilizzava per finalità personali, faceva seguire il lavoratore, il quale svolgeva nel giorno del richiesto permesso sindacale attività incompatibili per spazio e tempo con le finalità del permesso.

Sulla base delle risultanze delle investigazioni, la società predisponeva e comunicava una contestazione disciplinare che veniva contestata dal lavoratore nelle giustificazioni che la società disattendeva irrogando il licenziamento per giusta causa.

La vicenda processuale:

Il Tribunale di Vasto, in sede di opposizione riformava l’ordinanza emessa all’esito del giudizio a cognizione sommaria, ove il primo giudice pur ritenendo illegittimo il comportamento del lavoratore ed avere quindi accertato che il medesimo non aveva svolto alcuna attività sindacale riconducibile al permesso richiesto e concesso, dichiarava il licenziamento illegittimo condannando il datore di lavoro alla massima sanzione economica prevista al comma 5 dell’articolo 18 della legge 300/1970.

Su ricorso in opposizione sia della società che del lavoratore, il giudice della fase di opposizione da un lato confermava il percorso logico giuridico della pronuncia della fase sommaria, peraltro individuando profili di falsa testimonianza del segretario provinciale della O.S. di appartenenza del lavoratore, rimettendo quindi gli atti alla Procura della Repubblica competente e, dall’altro, riformava la sentenza nella parte dispositiva dichiarando legittimo il licenziamento.

Appare opportuno riportare alcuni passi della sentenza per comprendere il ragionamento del giudice della fase di opposizione e soprattutto la valorizzazione della circostanza che ciò che conta ai fini della valutazione della illegitimità del comportamento contestato, non è l’assenza in se, ma le modalità in cui questa si è formata.

Il Tribunale di Vasto in sede di opposizione infatti afferma:

Ad avviso di questo giudicante, l’ordinanza impugnata è errata nella parte in cui, ai fini della valutazione di proporzionalità tra la sanzione e il fatto, si sia apprezzato esclusivamente il dato quantitativo dei giorni di indebita fruizione del permesso, e non anche gli altri elementi concreti che sono emersi nel corso dell’istruttoria, primi tra tutti l’intensità del dolo e le effettive conseguenze della condotta.

Di recente la Corte di Cassazione (con la sentenza 4943/2019 n.d.r.) si è pronunciata su identica questione affermando che:

“mentre le attività in genere necessarie per l’espletamento del mandato sindacale non sono controllabili (Cass. n. 5223/01, n. 14128/99, n. 11573/97), ma comunque censurabili specie laddove si accerti che il permesso (anche L. n. 300 del 1970, ex art. 23) venga utilizzato per fini personali (Cass. n. 454/03), la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi può essere naturalmente controllabile ed in caso di accertata mancata partecipazione certamente sanzionabile”.

Come osservato da questa Corte (Cass. n.4302/01, n. 5086/01, n. 5223/01), i permessi sindacali retribuiti previsti dall’art. 30 St.Lav. per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato, e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettativa sindacale; ne consegue che l’utilizzo per finalità diverse dei permessi (nella specie, preparazione delle riunioni e attuazione delle decisioni) giustifica la cessazione dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, che è abilitato ad accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti del diritto. Inoltre, prosegue la giurisprudenza citata, l’indebita utilizzazione dei permessi non si traduce in un inadempimento ma rivela l’inesistenza di uno degli elementi costitutivi del diritto; ne consegue che, in caso di contestazione, qualora il lavoratore, su cui grava il relativo onere, non fornisca la prova dell’esistenza del diritto, trovano applicazione le regole ordinarie del rapporto di lavoro e l’assenza del dipendente è ritenuta mancanza della prestazione per causa a lui imputabile”, concludendo che “La sentenza impugnata ha quindi erroneamente ritenuto che l’eventuale condotta abusiva non avrebbe alcuna conseguenza risolutiva del rapporto, giustificando al più l’adozione del provvedimento di ritenzione della retribuzione” (Cass. Civ., Sez. Lav., 20/02/2019, n. 4943).

Nel caso in esame, continua il giudice del lavoro del Tribunale di Vasto,  non si tratta di una mera assenza ingiustificata che, come tale, assume il connotato di gravità idoneo a legittimare la massima sanzione disciplinare soltanto quando si prolunghi per più giorni o ricorra per un numero qualificato di volte in un determinato arco temporale.

Ciò che, invece, viene in considerazione è la condotta del sig. Iezzi, che ha utilizzato un permesso riconosciutogli dalla legge al fine di tutelare i superiori interessi dei lavoratori iscritti al proprio sindacato, per scopi personali e, quindi, per svolgere attività del tutto estranee agli scopi per cui è stato previsto.

Non si è realizzato, quindi, un mero inadempimento, ma un vero e proprio abuso del diritto, in quanto l’opponente ha approfittato della propria posizione ricoperta nella Uiltec per estorcere al datore di lavoro un permesso (peraltro retribuito) che, ai sensi dell’art. 30 St.Lav., certamente non poteva essergli negato, costringendo l’azienda riorganizzare i turni di lavoro.

Siffatta condotta è sicuramente violativa del principio di buona fede e correttezza che deve informare il rapporto tra datore e lavoratore e, come tale, certamente è stata idonea a compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con la Prima Eastern s.p.a..

Per tali ragioni, in riforma dell’impugnata ordinanza, deve concludersi per la legittimità del licenziamento irrogato.

 La sentenza va quindi sottolineata proprio perché valorizza non tanto il dato dell’assenza in se, ma quanto le motivazioni sottostanti alla stessa ed il comportamento illegittimo del lavoratore.

In allegato: Sentenza Trib. di Vasto