Tribunale di Frosinone, Sez. Lavoro n. 166/2018, pubblicata il 26/02/2018, Dott. M. Lisi.
(Avv …) contro Comune di Frosinone (Avv. Italico Perlini).
Si richiama il principio generale di cui all’art. 100 c.p.c. che, ai fini dell’ammissibilità di un’azione giurisdizionale impone che la sua proposizione sia sorretta da un interesse ad agire della parte attrice.
Chi intende contestare la legittimità di un atto è tenuto a denunciare una lesione personale, concreta ed attuale dell’atto medesimo, richiedendo al giudice adito l’adozione di una pronuncia suscettibile di arrecare un’utilità ovviando alla lesione stessa.
Il Caso:
Un lavoratore ha promosso ricorso ex. Art. 1, commi 51 e ss., L. n.92/2012, ritenendo non convincente l’interpretazione operata dal Giudice del Lavoro della prima fase del giudizio, che, con ordinanza del 18.09.2017, dichiarava l’ inammissibilità del ricorso, per originaria carenza di interesse ad agire.
L’opponente ha chiesto al Tribunale di Frosinone, in funzione di Giudice del Lavoro, di riformare l’impugnata ordinanza e di accertare e dichiarare la nullità, illegittimità ed inefficacia del procedimento disciplinare e del licenziamento-atto risolutivo disposto dal Comune di Frosinone in suo danno.
In particolare, l’opponente, ha evidenziato una serie di fatti dell’Amministrazione comunale, che, a suo dire, favoriscono una interpretazione in forza della quale, a seguito della notifica dell’atto di apertura del procedimento disciplinare, il rapporto di lavoro con il ricorrente era definitivamente cessato.
Le circostanze valorizzate erano: allontanamento fisico e giuridico del ricorrente dal posto di lavoro, la cessazione della retribuzione, la comunicazione della risoluzione del rapporto di lavoro agli uffici competenti; la cessazione dei versamenti contributivi, la pubblicità della cessazione del rapporto di lavoro con il ricorrente.
Per l’effetto, ha chiesto di condannare il Comune di Frosinone alla sua reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato, con riassegnazione dell’incarico di Dirigente del Settore Pianificazione, SUE (Sportello unico per l’edilizia) ed Ambiente, e alla corresponsione di una indennità risarcitoria pari a tutte le retribuzioni maturate successivamente al licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, oltre al versamento di tutti i contributi previdenziali e assistenziali e agli accessori.
Si è costituito nel giudizio di opposizione il Comune di Frosinone, chiedendo di dichiarare inammissibile e/o improcedibile il ricorso, deducendo la piena correttezza dell’ordinanza impugnata. In particolare, il Comune convenuto ha preso posizione sui nuovi argomenti portati dall’attore a sostegno delle proprie tesi , deducendo che le argomentazioni di controparte erano del tutto infondate, oltre che irrilevanti ai fini del decidere e contrarie al reale accadimento dei fatti. L’ente convenuto ha anche evidenziato che, dopo il primo licenziamento, erano emersi ulteriori fatti disciplinarmente rilevanti e aveva irrogato al ricorrente un secondo licenziamento per giusta causa.
La decisione:
Il Tribunale di Frosinone ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto, per carenza di interesse ad agire, avendo l’attore impugnato un atto, la contestazione disciplinare, che si è ritenuto non potesse essere qualificato come atto irrogativo di un licenziamento, ma mero atto endoprocedimentale e che fosse privo, come tale, di autonoma efficacia lesiva e quindi non impugnabile autonomamente.
L’esame complessivo dell’atto, ha fatto propendere per una interpretazione del provvedimento nel senso prospettato dalla difesa dell’ente nel presente giudizio.
Il Dirigente dell’Ufficio procedimenti disciplinari (U.P.D.), ha inteso, da un lato avviare il procedimento disciplinare, con la contestazione degli addebiti all’attore e con la sua convocazione per l’audizione orale, e, dall’altro ha disposto la sospensione cautelare (e non disciplinare) del dirigente, in ragione della gravità dei fatti contestati, pur usando, in altri passaggi della nota di contestazione, espressioni proprie di un atto risolutivo del rapporto di lavoro.
Tale interpretazione dell’atto in esame è stata avvalorata, anche richiamando i comportamenti adottati dalle parti immediatamente dopo l’invio della nota.
Ritiene, in definitiva, il Tribunale, che la carenza di interesse ad agire va affermata nel caso di un atto infraprocedimentale (nella specie, la mera contestazione dell’addebito) privo di autonoma lesività e che è censurabile soltanto, eventualmente, unitamente con l’atto conclusivo del procedimento disciplinare, di cui la contestazione costituisce il mero atto propulsivo.
Dunque il ricorso attoreo deve essere dichiarato inammissibile, per l’originaria carenza di interesse ad agire.
I precedenti:
Per la non immediata impugnabilità della contestazione degli addebiti si è pronunciata la prevalente giurisprudenza.
Le sentenze richiamate in motivazione sono sia della giustizia amministrativa (attuale regime privatizzato, TAR Veneto, sez. I, 16.5.2000 n.1020; previgente sistema pubblicistico, Cons. Stato, sez.VI, 9.8.1996 n.993 e sez. VI, 5.6.1970 n.481), sia della Cassazione (Cass., SS.UU. nn. 17402/2012, 10140/2012, 28335/2011, 22377/2011, 20771/2010, 19448/2009, 8520/2007, 12115/2006).
Il Tribunale, ha richiamato ulteriori sentenze della Suprema Corte (Cass. n. 16174/2001 e 22624/2010), facenti parte di un orientamento minoritario, le quali ipotizzano sussista un originario interesse del ricorrente ad impugnare l’atto infraprocedimentale.
Nel caso di specie, però, la carenza di interesse ad agire è sopravvenuta; anche se sussistesse un originario interesse del ricorrente ad impugnare l’atto infra-procedimentale, non può più ritenersi sussistente un interesse del ricorrente a proseguire il giudizio di impugnazione della contestazione disciplinare, una volta che è sopraggiunto l’atto di risoluzione del rapporto.